È originario del Giappone ed à le stesse proprietà dell'altro. I semi mediante pressione danno un olio fitto molto odoroso, e colla distillazione somministrano una preziosissima essenza, nota sotto il nome di essenza di Badiana simile nei caratteri chimici e negli effetti terapeutici alle essenze più attive dalle ombrellifere nostrali. Infusi nell'acqua e fermentati se ne ottiene un liquore spiritoso, usato dagli Olandesi nella confezione di vari liquori. Sotto il medesimo nome fu conosciuto dai Greci e dai Latini. Pittagora lo pone fra i migliori condimenti tanto crudo che cotto. Emundat visum stomacumque confortat anisum, fa bello il viso e conforta lo stomaco, dice la Scuola Salernitana. Avicenna dice che corregge il cattivo alito: Orishalitum jucundiorem facit. Dioscoride osserva che i Sirii condivano coll'anice le zucche cotte nell'aceto, il che gli sembra bona cosa - quam rationem apparandi non incommodam puto. Nel 1560 le damine francesi che si dilettavano nell'arte pistoria combinavano certo pane col seme dell'anice che chiamavano Biscottum, dal quale i biscotti, i biscottini, le dame ed i cavalieri del Biscottino. Se non che, pare che il biscottinismo avesse un'origine più antica, perchè fino dai tempi di Pittagora i semi d'anice si mettevano sulla crosta del pane. Ciò non ostante alla nostra Suora Latina dobbiamo il merito della sua ristorazione.
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vari liquori. Sotto il medesimo nome fu conosciuto dai Greci e dai Latini. Pittagora lo pone fra i migliori condimenti tanto crudo che cotto. Emundat
Lo zafferano è pianta perenne, bulbosa, originaria dall'Asia Minore, dove è indigena. I suoi fiori che dà in autunno sono ordinariamente di un violetto porporino, gli stimmi di un rosso aurora molto odorosi. Nel linguaggio dei fiori: Sfacciataggine. Ama terreno asciutto, forte, ben esposto e sostanzioso. Si raccolgono i fiori per levarne i pistilli rossi fragrantissimi. Si moltiplica per bulbilli, che formansi tutti gli anni attorno al bulbo madre, e si piantano in agosto. Varietà il Crocus vernus, il Crocus multiflorus e longiflorus, che nasce selvaggio in Sicilia. Coltivasi un di presso come gli agli e le cipolle. Vegeta anche nel nord, ma teme i freddi rigorosi e perisce sotto il 15°. Lo zafferano à sapore piccante ed amaro, odore forte particolare. Il suo nome crocus da croche filo, per gli stilli filiformi che costituiscono il suo fiore.
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Lo zafferano è pianta perenne, bulbosa, originaria dall'Asia Minore, dove è indigena. I suoi fiori che dà in autunno sono ordinariamente di un
Plinio suggerisce di condirla colla senape. La parola Beta fù sempre adoperata per indicare cosa fatua. Diogene chiamava Betæ gli uomini molli ed effeminati, e lo stesso S. Agostino, per dire rendere effeminato adopera il verbo betizare e da Beta venne pure nel nostro dialetto il vocabolo zabeta e più tardi zabetta per indicare una pettegola senza sale. Si dice pure da noi: Fat come una biedrava.
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effeminati, e lo stesso S. Agostino, per dire rendere effeminato adopera il verbo betizare e da Beta venne pure nel nostro dialetto il vocabolo zabeta e
Arboscello odoroso annuale, originario dalle Indie Orientali e dalla Persia. Ve ne sono 22 varietà. Tra queste il Grandiflorum (dall'Africa), che è perenne, e il Minimum annuale dell'Isola di Ceylan. Generalmente si coltiva la specie Ocymum. La Minimum però è la più graziosa. Nel linguaggio dei fiori: Odio. Si semina in Aprile e Maggio in buona terra, esposizione meridiana. Tanto i fiori che le foglie servono per condimento, per confettura e anche per profumo. È molto usato nella Cucina Genovese. In Persia se ne usa per aromatizzare le bibite. Crisippo lo reputava non solo inutile, ma eccitante l'insania, e come era disprezzato dalle capre, doveva fuggirsi dagli uomini e così predicò Galeno, ma i popoli della Mauritania lo avevano per un' esilarante. Il Basilico selvatico detto Brunella, (Brunella vulgaris officinalis) è vantato nelle malattie degli organi respiratori e nella diarrea. Messe le foglie nell'insalata si voleva guarisse le emorroidi. Dal Basilico se ne cava un'olio essenziale. I Genovesi lo conservano nell'olio in vasi o alberelli ben chiusi. E fanno così: pigliano il basilico fresco lo lavano per pulirlo dalla terra, l'asciugano con una salvietta, vi distaccano le foglie, gettano via i gambi e lo pongono in un alberello che si riempie d'olio e si chiude ermeticamente. Così conservato mantiene tutte le sue qualità aromatiche, nè si distingue da quello fresco.
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anche per profumo. È molto usato nella Cucina Genovese. In Persia se ne usa per aromatizzare le bibite. Crisippo lo reputava non solo inutile, ma
Il Carciofo della famiglia dei cardoni è un caule di 5 o 6 piedi indigeno. Vuole esposizione meridionale, essere difeso dai freddi, terreno lavorato, asciutto, ricco. Ama molt' acqua, il gelo l'uccide. Si propaga per semi, getti, o meglio per polloni dei vecchi carciofi, in Marzo ed Aprile ed anche in Maggio, in luna vecchia. È una verdura delle più delicate, sana, saporita e ghiotta. Quello che si mangia è il fiore immaturo, che è fatto a scaglie ed à la figura d'una pigna. Sono rinomati quelli di Genova e come migliori quelli di Sardegna. Si mangiano tenerelli crudi coll'olio d'olivo sale e pepe - e cotti all'olio ed al burro. Si digeriscono meglio cotti che crudi, sono più saporiti al burro che all'olio. Dai ricettacoli del carciofo cavasi amido. Dumas nel suo Dizionario di Cucina insegna sedici maniere di cucinare i carciofi. Galeno li calunniava come cibo bilioso: pravi succi est edulium, e Brillant-Savarin, come afrodisiaco. Il sugo del carciofo, fù tenuto da Guitteau e Copermann come succedaneo all'aloe e drastico ad alta dose. Fu usato contro i reumatismi, le sciatiche, l'itterizia e come diuretico nelle idropi. Charrier, Otterbourg, Homolle ed altri lo consigliano nella cura della diarea cronica, e suggeriscono di mangiarne crudi con olio, sale e pepe quattro o sei al giorno. Giova la decozione del carciofo a coloro che patiscono fetore sotto le ascelle, lavandosi con esso. Le foglie del carciofo fresco allontanano le cimici. Varrone insegna che a macerare la semente in sugo di rose, gigli, alloro si à carciofi del sapore di questi. Un cronista napoletano ci tramanda che celebre per cucinare i carciofi fu Cleope da Varafro. Vogliono che il nome di CINARA fosse quello di una bellissima ragazza che Giove quand'era lui al potere mutò in articiocco e cardone, nome che ancor rimase a questi.
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. Fu usato contro i reumatismi, le sciatiche, l'itterizia e come diuretico nelle idropi. Charrier, Otterbourg, Homolle ed altri lo consigliano nella
Il suo nome dal greco Daucus che vuol dire bruciare, perchè i semi della carota si ritenevano molto riscaldanti. Vuolsi originaria dalle sponde del Mar Rosso. È una radice indigena annuale succosa, carnosa. Oltre la selvatica, abbiamo la varietà bianca, rossa, violacea e gialla. Da noi specialmente si coltiva la rossa e la gialla, ma la più stimata di tutte è la bianca o moscatella, che sembra essere lo Staphylinos di Galeno e di Dioscoride. Vuole terreno grasso e lavorato. Si semina alla fine di Marzo. In Ottobre e Novembre si raccolgono le radici e si custodiscono entro la sabbia per gli usi domestici, oppure si lasciano nel terreno, purché ben esposto e difeso dal gelo. Nella seguente primavera si ottiene la semente. In Inghilterra e sul napoletano si coltiva in grande anche per foraggio ai cavalli. La carota è una verdura ricca di amido e di zuccaro, che dà un cibo sano ed aromatico, che ingrassa. Si fa cuocere colle carni per dar loro sapore, si mescola in molti intingoli, allegra la busecca milanese, serve di letto alle salsiccie, è la sorella direi quasi la gemella del Sedano: dove va l'uno va quasi sempre anche l'altra. Si fa cuocere in acqua e brodo, tagliata a fettuccie si condisce col burro ed è eccellente piatto di verdura, si mangia in insalata. Colla sua polpa se ne fanno purèe e torte, entra in molte salse. Le foglie verdi servono ad allontanare le cimici mettendole nel pagliericcio o strofinando con esse le lettiere. La carota infusa nell'alcool dà un liquore nominato Olio di Venere. Se ne può cavare un'acquavite migliore di quella dei cereali. I suoi semi sono aromatici e lievemente stimolanti. In Inghilterra se ne fa un grato infuso teiforme. Nel Nord della Germania sono usati nella fabbricazione della birra, le danno maggior grazia e forza. Gli Arabi l'adoperano per fare buon alito e ritengono che il loro aroma rafforzi le gengive. Plinio e Dioscoride dicono che la carota mette appetito. Fin dall'antichità si dava ai convalescenti. Areteo lo consigliava nell'elefantiasi. Più tardi ne usarono i medici contro il cancro e le ulceri, nell'asma, nella bronchite, fino nella tisi. È rimedio volgare nelle scottature. Esternamente, la polpa si usa raschiata cruda-internamente, il roob, lo sciroppo. In Turchia se ne preparano col suo succo biscotti e pane in polvere per i bambini.
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si coltiva la rossa e la gialla, ma la più stimata di tutte è la bianca o moscatella, che sembra essere lo Staphylinos di Galeno e di Dioscoride
Il suo nome che viene dal greco, significa Forza. Pianticella annuale, indigena, della Spagna e dell'Italia. Si semina in Aprile e Maggio in bona esposizione, fiorisce dal Giugno al Luglio, si raccoglie alla fine d'Agosto. Da noi scarsamente si coltiva perchè cibo piuttosto difficile a digerirsi. E comune invece nella Siria, nell'Egitto ed in altre regioni orientali. Ve ne sono due varietà, la bianca e la oscura, migliore quest'ultima. È coltivato pure in Spagna dove entra come primario ingrediente nella loro olla potrida e lo chiamano garavança. Sono i ceci fra i legumi più difficili a cocersi, e però si devono mettere in bagno d'aqua la sera prima e farli cocere molto, con acqua piovana, e se con quella di pozzo, mettervi della cenere, saranno più teneri e cuoceranno più presto. Da noi si mangia tradizionalmente colla carne porcina il dì dei morti, costumanza che risale agli antichi Romani, in memoria del ratto delle Sabine. Nel genovesato colla farina di cece mescolata ad olio sale ed acqua se ne fà tortellacci, ed un' altra pasta, detta panizze, che si frigge o si mette in stufato(1). Galeno ne parla come di cibo rusticano. I Mauritani ne andavano ghiottissimi. Dioscoride assicura, che il cece dà bel colore alla faccia. Gli antichi ponevano questo legume a segno d'incorruttibilità. I Persiani ne usano anche oggi come rinfrescativo. Vogliono che contenga molto acido ossalico e sia eccellente contro i calcoli, una volta almeno aveva tale virtù con quella di rafforzare la voce. Tra i varj legumi che si usano per adulterare il caffè, il cece è forse quello che meglio degli altri gli si avvicina, per cui in Francia lo chiamano café français, il quale caffè, invece da noi, si chiama semplicemente brœud de scisger. Cicerone fu così chiamato da cicer perchè aveva in cima al naso un bellissimo cece. Nei Vespri Siciliani, coloro che non sapevano pronunciar ceci — si uccidevano — era il riconoscimento di un francese — che rispondeva: sesì.
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coltivato pure in Spagna dove entra come primario ingrediente nella loro olla potrida e lo chiamano garavança. Sono i ceci fra i legumi più difficili a
Lavate i legumi, come ceci, lenti, fave, piselli, ecc. nell'acqua fredda appena raccolti e fateli seccare Perfettamente al sole. Tutti gli insetti già sviluppatisi nei legumi ne sfuggiranno e quelli che non lo sono ancora non si svilupperanno altrimenti.
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già sviluppatisi nei legumi ne sfuggiranno e quelli che non lo sono ancora non si svilupperanno altrimenti.
Varrone dice che cucumis viene da cucumeres a curvitate dictos, quasi circumvimeres, cioè che desumono il nome della forma. Nel linguaggio dei fiori: goffaggine. È pianta annale originaria dall'Oriente o meglio dalle Indie. Ama bon terreno a mezzodì, larghe irrigazioni. Ad ottenere grossi frutti si svetta la pianta dopo fiorita. La semente si fa nascere su letto caldo e si trapianta in Aprile in luna vecchia. Avvene molte varietà: Il bianco grosso, da insalata, il piccolo, per aceto, il giallo precoce, il tondo a pelle ruggine ricamata, che à carne fina bianchissima, il verde lungo inglese, quello d'Atene, ecc. Il citriolo à odore suo proprio, raccogliesi il frutto acerbo o mal maturo e ridotto in fette si mangia in insalata con olio, aceto, sale e pepe. I piccoli si mettono in conserva nell'aceto, per mangiarli colla carne a lesso. I citrioli sono molti indigesti — cotti i citrioli non lo sono, e si fanno farciti come le zucche e servono come guarnizione. Dei citrioli tutti ne dissero male. Fu sempre reputato un cibo difficile a digerirsi. Galeno voleva che si abolisse dai cibi dell'uomo, come la più iniqua delle vivande, e Plinio asseriva che gli restava sullo stomaco fino al giorno dopo. Nerone ne era ghiottissimo e Tiberio ne mangiava ogni giorno, ma cotti. I milanesi per dire che una cosa val poco, ànno il proverbio: la var trii cocùmer e un peveron. E per dare dell'imbecille ad alcuno lo chiamano un cocùmer. I citrioli erano una delle dolci rimembranze egiziane degli Ebrei nel deserto. Num. 11.
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lo sono, e si fanno farciti come le zucche e servono come guarnizione. Dei citrioli tutti ne dissero male. Fu sempre reputato un cibo difficile a
Il Crescione è erba indigena dell'Europa, che fiorisce da Maggio a Luglio (fiorellini bianchi) in luoghi per lo più umidi, lungo i ruscelli, i fiumi, le roccie. Ama l'esposizione del nord e si risemina da sè. Nel linguaggio dei fiori: Piangere. Fornisce una saporita e sana insalata ; per alcuni è però indigesta ; meglio mescolarla alla circoria. La si coce anche per zuppa e minestra, ma cotta perde molto della sua virtù. I rami fioriti, principalmente le foglie anno sapore acre amarognolo che rammenta il ramolaccio, e sfregate mandano un odore forte penetrante. È eminentemente antiscorbutica, e giova nelle affezioni asmatiche o catarrose, nel reumatismo cronico-erratico. In Francia serve di guarnizione all'arrosto. Se ne fanno conserve, elisiri, ecc. In Romagna si chiama canei.
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Il Crescione è erba indigena dell'Europa, che fiorisce da Maggio a Luglio (fiorellini bianchi) in luoghi per lo più umidi, lungo i ruscelli, i fiumi
Columella lo mette fra i migliori legumi. I sommi Sacerdoti dell'Egitto avevano proibito ai loro credenti questo cibo, e Pittagora, professore di filosofia, non voleva che i suoi scolari ne mangiassero onde avere il silenzio necessario nella scuola. Lionbruno, grammatico, nella sua Cronica, dice che Clorinda da Ello, Bresciana, fu la prima che cocesse fagioli freschi con la scorza aggiungendovi aglio, aceto e sedano.
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Columella lo mette fra i migliori legumi. I sommi Sacerdoti dell'Egitto avevano proibito ai loro credenti questo cibo, e Pittagora, professore di
I semi di tutti i grani danno, per mezzo del macinamento, una polvere che è la farina, la quale si separa dalla crusca, che è l'involucro del grano, per mezzo del frullone o del baratto. Le farine usuali che entrano nella cucina sono quelle di frumento, segale, orzo, frumentone, riso, alle quali va aggiunta la fecola di patata. (Vedi ciascuno di questi prodotti). La farina per conservarsi dev'essere di bon grano e sano, dev'essere asciutta, chiusa in luogo fresco d'estate e tepido d'inverno. Gioverà che sia ben compresa, o moverla di tanto in tanto. La farina stacciata si conserva meglio che quando è mescolata alla crusca, essendo questa soggetta ad inacidire. Dovendosi mescolare varie qualità di farina, lo si faccia all'atto, volta per volta. Se è passata per uno staccio sottile e fino, chiamasi fiore, per uno alquanto più largo, farina, indi il cruscatello, detto rogiolo. Dell' uso culinario della farina dirò a suo luogo. La macinazione del grano e la mescolanza delle farine è arte antichissima , presso tutti i popoli. Omettendo altre citazioni, ricordo Marziale, lib. 13, che amava le galline grasse: Pascitur et dulci facilis gallina farina. E Perseo, Sat. 3 : cribro decussa farina. E il proverbio citato dal medesimo Persio contro l' esattore e l' agente del Demanio : Exigit e statuis farinas. E l'altro contro chi promette molto e mantiene nulla: Verba pro farina. E i nostri: La farina del diavol la và in crusca — Lè tutta farina de fà gnocc, per dire che è tutta la medesima cosa — Lè minga farina del sò sacch, ecc.
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quando è mescolata alla crusca, essendo questa soggetta ad inacidire. Dovendosi mescolare varie qualità di farina, lo si faccia all'atto, volta per
Pianticella vivace, aromatica, originaria della Siria. Nel linguaggio dei fiori: forza, robustezza. Cresce spontanea nei luoghi aprichi e soleggiati, ama terra grassa, esposizione calda, frequenti inaffiamenti. Si semina da Febbraio a Luglio, dà fiori gialli. Si coltiva come il sedano negli orti. La varietà selvatica è più forte. Il Finocchione è il finocchio dolce d'Italia, il romano. Il Fœniculum piperatum, o finocchio arancino è raro fra noi, ma spontaneo e coltivato nelle regioni meridionali d'Italia. È celebre il finocchio di Faenza e di Forlì. I teneri germogli detti anche finocchini; si mangiano come erbaggi da tavola, crudi all'olio e pepe, cotti con burro come il cardo. A Napoli e Sicilia i teneri germogli si mangiano nelle zuppe e minestre. I semi detti anche erba bona, sono droga di cucina e di pasticceria. Si adopera a dar sapore alle carni porcine allo spiedo, ai pesci fritti, alle salse, si fa bollire colle castagne. Serve alla preparazione dell'aquavita, dà bon alito, e in alcuni paesi lo mettono perfino col tabacco nella pipa. La parola fœniculum dal greco, vuol dire dissipare, scacciare i venti, onde la scuola salernitana: Semen fœniculi pellit spiracula culi — il quale verso non mi permetto tradurre. In tedesco suona così:
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fritti, alle salse, si fa bollire colle castagne. Serve alla preparazione dell'aquavita, dà bon alito, e in alcuni paesi lo mettono perfino col tabacco
Il suo nome dall'ebraico Ezob. È una pianticella perenne, erbacea, semi-legnosa, originaria dalla Siria, che somiglia il timo, dal quale divide le proprietà e le virtù. Si conoscono 4 varietà. Ama terreno sostanzioso, ma leggiero — si moltiplica per semi, divisioni di radici e per getti. Bisogna rinnovarla e dividerla ogni due o tre anni, perchè invecchia — à fiori tutta la state, ordinariamente bleu, qualche volta rossi e bianchi. Nel linguaggio dei fiori: purezza. Le sue foglie e le estremità fiorite ànno sapore amarognolo, caldo, aromatico, odore fragrante gradevole. Serve in cucina a dar gratissimo sapore alle carni cotte in stufato, a quelle crude che si essicano, come lingue, coppe, ecc.; aromatizza l'aceto, lo si adopera per profumeria, per medicina. À virtù tonica, stomachica, espettorante, risolutiva, vermifuga.
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gratissimo sapore alle carni cotte in stufato, a quelle crude che si essicano, come lingue, coppe, ecc.; aromatizza l'aceto, lo si adopera per
Plinio dice al lib. 25 cap. 2: « Hyssopum in oleo contritum phthyriasi resistit et prurigini in capite. » Non traduco la sentenza di Plinio per rispetto alle gentili lettrici. Anche oggi in Persia viene usato l'infuso come cosmetico. Ne parlò Salomone (Regum,3). I Giudei ricinsero d'isopo la spugna colla quale abbeverarono d'aceto il Redentore. L'isopo è di rito nelle benedizioni di chiese e camposanti. Non è ben certo che il nostro isopo sia quello ricordato dal re Davide: Asperges me hyssopo et mundabor. Si vuole che quell'isopo sia una pianta affatto scomparsa e non dei nostri paesi. Un canonico di Como stampò un volume per simile vertenza. Ma se il nostro non è il medesimo, è per lo meno un suo prossimo parente, perchè ne à le stesse proprietà. La massaja lo taglia in autunno lo fà seccare all'ombra in piccoli fascetti e lo conserva per gli usi culinari dell'inverno. Il suo aroma giusta il detto della salernitana colorisce graziosamente la faccia e dà buon umore.
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canonico di Como stampò un volume per simile vertenza. Ma se il nostro non è il medesimo, è per lo meno un suo prossimo parente, perchè ne à le stesse
La Lattuga prende il nome dal succo lattiginoso che contiene. È pianta erbacea annuale, di patria ignota, la più insipida delle insalate, se se ne eccettui il lattughin detta anche insalatina, da noi, forse perchè essendo assai tenera e primaticcia si mangia volentieri. Ve ne sono 3 varietà. Da noi se ne coltivano due, la comune e la romana. Vuol terra leggera ben lavorata e grassa e frequenti irrigazioni. Si semina da Marzo a Settembre, e la si preserva dai freddi coprendola. S'imbianca come l' endivia. Il suo seme migliore è quello di due anni. Nel linguaggio dei fiori: sonno. Fu sempre conosciuta la sua azione soporifera. Galeno ne mangiava tutte le sere per procurarsi il sonno. Dioscoride e Celso l'avevano come un succedaneo dell'oppio ed è forse per questa sua proprietà d'addormentare che venne chiamata Erba dei Filosofi. Era opinione che la lattuga accrescesse il latte alle nutrici, e ciò si crede anche oggi. Pitagora la chiamò Eunachion. La lattuga fù dai romani consacrata a Venere e pochi di loro per rispetto alla Dea ne mangiavano. Era tradizione che Venere dormisse al fresco nella lattuga. Adone ucciso da un cinghiale venne sepellito sotto la lattuga. Marziale scrive che la si mangiava dopo cena, per dissipare i vapori del vino. Svetonio ci tramanda che Augusto decretò una statua al suo medico Antonio Musa perchè costui colla lattuga lo guarì dalla ipocondriasi. In ogni tempo fu creduta verdura refrigerante e debilitante. La lattuga a poco a poco era caduta in dimenticanza tale che non era neppure più coltivata verso la fine del 1600. Alcuni medici vollero emulare il Musa di Augusto. E Lanzoni la vantò contro l'ipocondria, Breteuil nelle convulsioni, Gouan nella nefrite e nell'iterizia, Schelinger nell'angina di petto, Brassavola nell'idropisia, Hudellet nelle febbri intermittenti, terzane, quartane, ecc.; insomma una specie di manna. Oggi si mangia in insalata e si mette nelle zuppe e negli intingoli diversi. Si crede che non lavata, la lattuga sia più saporita.
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costui colla lattuga lo guarì dalla ipocondriasi. In ogni tempo fu creduta verdura refrigerante e debilitante. La lattuga a poco a poco era caduta in
Pianta annua dell'Asia, Africa ed America, il cui frutto è bislungo, cilindrico, color pavonazzo, giallo o bruno, a norma della varietà. Si semina in Aprile e Maggio, si coglie in Agosto e Settembre. L'Ovigerum varietà a frutto bianco à la forma dell'uovo e dai Milanesi è detto Oeuf de pola. Vuole buon terreno, molto sole e frequenti irrigazioni. Gli ovali sono i più delicati. La polpa della melanzana è bianca e succosa. Levata la sua innata amarezza, mediante infusione nell'acqua, costituisce un cibo abbastanza grato, nutritivo e di facile digestione. Conviene spogliarla dalla buccia. Concilia il sonno. Si taglia a fette per le zuppe e minestre. Nei paesi caldi, immatura si mangia in insalata e cruda coll'olio e pepe, e cotte si mettono in aceto. In Egitto si cuoce sotto cenere. Nel Genovesato si riempie come le zucchette. Altrove, pelata si taglia a fette, si triffola, si imboraggia coll'ovo e farina e si frigge. Pelata, e bollita in acqua per due minuti, si secca al forno, e si conserva per l'inverno. Colle foglie si fanno decotti, cataplasmi, e questi anche colla polpa del frutto. Il suo nome Melanzana, dal latino Mela insana, perchè la dicevano di difficile cottura e digestione. I Greci, al dire di Galeno la usavano pochissimo. Dioscoride ne predica il gusto innocente. Teofrasto lo accusa di essere di nessun nutrimento. Da noi, il più comune dà il frutto color violetto ed è quello ricordato dal Boccaccio, che ne era ghiotto, nell'Ameto. La parola Meresgian, si dice venga da Mela di Giano, cioè sacra a Giuno. Un proverbio dice:
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digestione. I Greci, al dire di Galeno la usavano pochissimo. Dioscoride ne predica il gusto innocente. Teofrasto lo accusa di essere di nessun nutrimento. Da
Pianticella gramignacea annuale, originaria delle Indie. Se ne contano 3 varietà, secondo il colore del seme, bianco gialliccio e nero. Da noi si coltiva solamente il gialliccio e vuol terreno sciolto, pingue, solatio. Si semina raro in Giugno e Luglio, dopo la messe. Si chiama miglio dai mille semi che produce. Anche il miglio dà farina per alimento. Lo stesso nome antico di panicum indica che serviva a far pane. Da noi si dice ancora pan de mej perchè una volta anche da noi se ne usava, onde il sonetto del Burchiello: Perchè a Milan si mangia pan di miglio? Plinio al lib. 28 cap. 10 dice: Milio campania gaudet præcipuo, pultemque candidam ex eo facit: fit et panis prœdulcis. Appare da qui che ai tempi di Plinio si coltivava la varietà bianca, e che fino d' allora il miglio serviva per chicche da offelleria. In Asia se ne fà una certa polenta che si mangia con olio e grasso di porco. Del resto era usato come farina da pane nell'Etiopia, nell'Egitto, Persia, Siria e nell'Arabia. I semi del miglio si possono cocere in minestra col brodo e massime col latte, se ne fà torte. Ridotto in farina è buono a far polenta e pane che appena uscito dal forno è saporitissimo e non isdegnato dai gusti più delicati. La farina serve pure in pasticceria. Col miglio si alimentano i pulcini, le galline, il pollame e molti uccelli. I selvaggi lo arrostiscono. In Tartaria se ne compone una specie di birra e una certa aquavite che chiamano Bysa. Il miglio dev'essere conservato in luogo assai asciutto e dura così più d'ogni altro grano.
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semi che produce. Anche il miglio dà farina per alimento. Lo stesso nome antico di panicum indica che serviva a far pane. Da noi si dice ancora pan de
Il Nasturzio, o Lepidio, è pianticella annuale indigena, conosciuta e coltivata nei giardini e negli orti pei suoi fiori giallo-scuri e rossi. Nel linguaggio dei fiori: Mi importuni. Si moltiplica seminando i suoi frutti a primavera, fiorisce fino all'Ottobre, ama terreno grasso e inaffiamenti. Avvi una varietà a larghe foglie (lepidium latifolium) che si coltiva come la precedente. Il nome di lepidio da lepis squama, perchè si usava a rimedio delle impettigini squamose. Anche presso di noi il volgo lo usò molto tempo per distruggere i vermi ai ragazzi. La pianta è diuretica, i fiori si mangiano colla insalata, che rendono più allegra e saporita per un certo acre tra il rafano e la senape che gli comunica. I semi possono supplire ai capperi, conservansi verdi nell'aceto e se ne fa salse. I Greci la chiamavano Cardamon, lo mangiavano principalmente colla lattuga. Egineta e Zenofonte asseriscono che serviva di companatico ai Persiani. I latini lo chiamarono Nasturtium, a nasi tormento, oppure da nasus tortus, dice Plinio, perchè fa arricciare il naso ed eccita le papille nasali come la senape. Ne dissero mirabilia Dioscoride, Galeno, Avicenna. Gli antichi gli assegnarono la virtù di infondere coraggio, e di chiarificare le idee, onde il precetto: homines secordes et somnolentes nasturtium edere jubeamus. l milanesi ad indicare piedi lunghi e larghi alla moda inglese chiamano le scarpe dei loro fortunati possessori: cassett de Nasturzi.
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delle impettigini squamose. Anche presso di noi il volgo lo usò molto tempo per distruggere i vermi ai ragazzi. La pianta è diuretica, i fiori si
L'Orzo dopo il frumento ed il riso è il cereale che serve più d'ogni altro all'alimentazione dell'uomo. Si crede originario della Palestina e della Siria - si afferma però che fu trovato indigeno in Sicilia. Il suo nome da horreo, per le reste ruvide al tatto. Viene in quasi tutti i terreni, ama però meglio quello sciolto. Sopporta il freddo più della segale, nella Svizzera si coltiva a m. 1900 sul livello del mare. Seminasi in primavera ed autunno. Ve ne sono diverse varietà; se ne coltivano due specie: il volgare e lo scandella, questo per pascolo al bestiame. Del volgare migliore quello di Germania e della Siberia. Colla farina del grano d'orzo se ne fà pane, la si mescola con quella del frumento. Coll'orzo se ne fanno eccellenti, saporite e sanissime minestre. L'orzo mondo, di scelta qualità, precedentemente con meccanico sfregamento arrotondato, chiamasi perlato, e viene preferito a farne pappine alimentari e cataplasmi. Un principio di germinazione altera i principi costitutivi dell'orzo, sì che, mentre aumenta la proporzione dell'amido e zuccaro, diminuisce quello del glutine e dell'ordeina. In questo stato chiamasi orzo tallito, o germinato, che è preferito negli ospedali come base al decotto pettorale. L'orzo è il principale ingrediente e la base della birra. Gli antichi lo chiamano frumento nobilissimo. Gli Etiopi e gli Indi non conobbero altro pane che quello di miglio e di orzo. Nella Grecia era celebre l'orzo di Atene dove era in antichissimo uso di cibo, al dire di Meandro e pare che fosse pure l'alimento più omogeneo dei gladiatori, i quali forse per ciò venivano chiamati Hordearii. Presso i Romani non godette molta fama. Es hordearium, veniva chiamato il foraggio dei cavalli, lo si dava al bestiame e ai soldati vigliacchi, ignominiæ causa. Marcello diede alle sue legioni dell'orzo invece del frumento, perchè si erano lasciate battere da Annibale. Aristotele scrive che i fornai e coloro che facevano il pane d'orzo diventavano imbecilli. Nella Sacra Scrittura l'orzo è pure ritenuto come cibo ignominioso e da poco. L'orzo, il miglio e la veccia sono pressochè sempre messi insieme (Isaia). Ezechiele parlando dei falsi profeti dice: Et violabant me (cioè Iddio) ad populum meum propter pugillum hordei etfragmen panis. (Ezech.). Di tale opinione è pure S. Gerolamo, vedi In Isaiam. Lo stesso S. Gerolamo asserisce aver visto in Siria un'eremita che visse trent'anni con orzo ed acqua sporca. Galeno ne scrisse lungamente in un libro tutto dedicato al decotto: De Phtisana hordacea.
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autunno. Ve ne sono diverse varietà; se ne coltivano due specie: il volgare e lo scandella, questo per pascolo al bestiame. Del volgare migliore quello di
Gli sforzi fatti da Parmentier per convincere gli ostinati sono incredibili. Il 25 agosto 1785, proprio un secolo fà, il giorno della sua festa, Luigi XVI lo ammise alla mensa reale e Maria Antonietta al ballo della medesima sera ne ornò i suoi biondi capelli.
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, Luigi XVI lo ammise alla mensa reale e Maria Antonietta al ballo della medesima sera ne ornò i suoi biondi capelli.
Ed ora la patata è l'amica del povero e del ricco, del medico e del prete. Certamente la patata non è squisita come la pesca, nè nutriente come un beeftek ma è sana e saporita anch'essa, e anch'essa sazia la fame del povero. Se ne fà farina e pane mista a frumento. La si mangia sola, lessata, cotta sotto la cenere. In cucina serve in mille modi, a tavola fà capolino in tutte le vivande, in tutti i piatti; caccia il naso perfino nella pasticceria. La patata è il pane degli Inglesi. Non si può immaginare Svizzera senza kartoffeln. La cucina tedesca è basata sulla patata. Non c'è brodo, minestra, intingolo o vivanda ove la patata non ne sia il principale costituente. Ogni città, ogni borgata le dà nomignoli particolari di tenerezza: Tüfken, Töffelken, Toffeln, Tartuffeln, Tartoffeln, Erdtuffeln, Erdäppel, Erdbirnen, Grundbirnen, Erdbohnen, Bataten, Patatos, Potatos, Kartoffeln, ecc. Se non ci fosse la patata bisognerebbe inventarla per loro. Dalla sua fermentazione se ne cava un' acquavite nociva che ubbriaca ed abbrutisce i poveri Irlandesi e gli schiavi dell'America. Colla patata si fà birra e carta. Raschiata e scaldata lentamente nell'acqua forma una specie di saponata che dà lucentezza e bianchezza alle lingerie. Serve di foraggio ai quadrupedi, di cibo ingrassante al pollajo. Sotto l'aspetto medico; Redi scriveva: « Hanno le patate nome d'essere un po' ventose, a me però non è paruto, ch'abbiano questo difetto, ma può essere che lo abbiano se sieno mangiate soverchiamente. » Sono un antiscorbutico, servono crude raschiate come cataplasma nelle piaghe cancrenose, sono rimedio volgare nelle scottature. Gordon in China viveva giorni e giorni di sole patate. Ma se la patata è sanissima quando è sana, quando incomincia a germogliare, si spoglia della fecola e allora è nociva, sviluppandosi pure la solanina che è veleno. Vi sono stati casi di avvelenamento di patata che si manifesta coll'idrope e piaghe cancrenose all'estremità.
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patate nome d'essere un po' ventose, a me però non è paruto, ch'abbiano questo difetto, ma può essere che lo abbiano se sieno mangiate soverchiamente
Pianticella annua indigena originaria delle Antille, del Brasile e Messico. Si semina in primavera a tutto Maggio, ama gran sole e terreno ricco, fiorisce in estate. Nel linguaggio dei fiori : rabbia. È detto peperone quasi pepe grande. Ve ne sono 10 varietà, tra queste: il comune, lo storto, a ciliegia, dolce del Brasile, tondo, di Spagna, di Voghera detto capsicum grossum, carnoso corto ed altre. Quello di Cajenne è piccolo e più forte di tutti. Tutta la pianta à sapore acre, piccante, calido, ma principalmente i frutti, e del frutto i semi sono più piccanti ed acri del pericarpio. I frutti verdi ed immaturi si conservano per uso di tavola nell'aceto, che ne mitiga l'acredine. Rossi, maturi, essicati e ridotti in polvere, costituiscono ciò che si chiama pimento, o pepe di Cajenne, che à pur esso i suoi usi culinari come la più piccante delle droghe indigene. Altri lo vogliono originario dell'Africa intertropicale, donde fu portato dai negri in America e poi in Europa. I primi che l'introdussero furono i Portoghesi che lo chiamavano pimenta del rabo cioè pepe colla coda. Ma visto che il peperone faceva concorrenza al pepe e temendo di danneggiare il commercio del vero pepe, il re di Portogallo ne proibì l'importazione. Tale peripezia del peperone ce la racconta Carlo Clusio in certe sue annotazioni dell'anno 1582. Comunque sia è certo che a noi pervenne dall'America e che prima era sconosciuto. Si chiama capsicum dal vocabolo greco che significa mordere, per indicare il suo sapore caustico. Il pimento, è uno degli slimolanti più attivi del ventricolo, risveglia l'appetito, corregge il languore e l'atonia intestinale, sopprime le flattuosità ed è rimedio infallibile contro le coliche prodotte da carne di pesce. Caccia le ascaridi, giova contro le emorroidi, secondo l'Accademia di Parigi. Eccellente il pimento per condire verdure, pesci e in certe salse. Il capsicum grossum di Voghera si mangia verde all'olio, e scottato nell'aqua bollente e diviso in quattro parti, toltine i semi si possono imboraggiare e farli fritti. I milanesi dicono anche peveron un naso rosso, grosso e bernoccoluto.
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, fiorisce in estate. Nel linguaggio dei fiori : rabbia. È detto peperone quasi pepe grande. Ve ne sono 10 varietà, tra queste: il comune, lo storto, a
La pimpinella (da bipennula, per le foglie bipennate) detta anche salvastrella, è originaria della Germania. Ve ne ànno 5 specie. E pianticella erbacea perenne, si moltiplica per seme, ma meglio per radici in autunno, si adatta a qualunque terreno, ma lo predilige umido e fresco, à fiori a spira rossastra, nasce naturalmente nelle montagne e nei prati, resiste al freddo. Nel linguaggio dei fiori: noncuranza. Si coltiva negli orti per uso di cucina, le sue foglie servono per condimento e per guarnizione d'insalata. Si raccomanda per il suo odore di melone. I suoi fiori messi in decozione con certa quantità d' allume sviluppano un bellissimo color grigio che serve a tingere la lana, la seta ed il cotone. Gli antichi ne usavano per guarire dalla tabe. È leggermente astringente.
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erbacea perenne, si moltiplica per seme, ma meglio per radici in autunno, si adatta a qualunque terreno, ma lo predilige umido e fresco, à fiori a spira
Noto legume annuale. Quello detto campestre nasce spontaneamente in alcune parti d'Italia e di Germania. Ma il sativum è quello coltivato negli orti. Avvene molte varietà. Il nano (P. humile) primaticcio olandese da noi detto anche quarantin. Il quadrato (P. quadratum) o reale bianco e verde. L'umbrellatum, che è piuttosto d'ornamento nei giardini. L'excorticatum, pisello dolce zuccherino che si mangia unitamente al guscio detto in francese Pois goulus e da noi Taccole, ed altre. Nel linguaggio dei fiori: confidenza. Si può seminarli in varie epoche e averli tutti i mesi. Il pisello ama terreno leggero, sostanzioso, lavorato e soleggiato; non vuol essere riseminato nel medesimo luogo. Si fa seccare e si conserva per l'inverno. La varietà verde, in Francia è coltivata su larga scala. In Inghilterra si coltiva il pisello per alimentare le pecore nell'inverno. Vuolsi che il nome di pisello l'abbia da Pisa, antichissima città del Peloponneso, da dove sembra venuto in Italia, come vennero alcuni abitanti di quella Pisa a fabbricare la nostra sull'Arno, che pure battezzarono Pisa, teste Strabone. Altri lo vuole dal nome originario del legume in lingua celtica, o dal vocabolo greco, che significa cadere. Il nostro nome di erbion pare sia un corrotto dell'Arneja spagnuolo o un prolungamento dell'erbse tedesco. Il pisello fu sempre ritenuto uno dei più graziosi legumi. La storia ci tramanda che aveva l'onore delle tavole reali. Gli autori greci e latini ne parlarono tutti con vera benevolenza, i più maldicenti lo accusano di flattulenze. Perfino l'austerissimo Eupolim, forse il più antico commediografo greco, ne fa menzione onorata. L'imperatore Tito ne andava matto. I medici non potendone dir male, come al loro solito, lasciano però scappare qualche bieca osservazione. Baldassare Pisanelli, medico bolognese, nel suo Trattato dei cibi et del bere, dice: « I piselli non sono molto differenti dalle fave, ma fanno venire sospiri et inducono strane meditationi. » Con sua bona pace, il pisello è l'ottimo fra i legumi, digeribile, saporito, nutriente. I freschi e teneri sono più digeribili che i secchi, questi alquanto flattulenti, bisogna lasciarli macerare nell'aqua. Si mangiano anche crudi lorchè sono freschi e tenerelli. Si cucinano in diversi modi : colle minestre, colle carni, nei manicaretti. I piselli si fanno seccare col medesimo metodo dei fagioli e degli altri legumi. Si conservano verdi nell'aqua e aceto e prima di mangiarli si lavano in aqua fresca. Devonsi però raccogliere perfettamente maturi, e si leva ai grani stessi la prima scorza. In Francia, colla buccia mista ad altre erbe aromatiche ed amare, si faceva una specie di birra usata principalmente dai contadini. Nel Chili è molto popolare la chicha de oloja, bevanda fermentata che si fabbrica coi piselli e col maiz. Nell'anno 1536 il cardinale Lorenzo Campeggio à dato un pranzo in Transtevere alla Maestà Cesarea di Carlo V, Imperatore. Era giorno quadragesimale « et prima fu posta la tavola con quattro tovaglie profumate.... et dopo vari servi i ; » furono portati « piselli alessati con la scorza et serviti con aceto et pepe sopra, libre 8 in 4 piatti. » Poi dopo molti altri servizii « levata la tovaglia et data l'aqua alle mani si mutò salviete con forcine d'oro et d'argento con stecchi profumati in 12 tazze d'oro et mazzetti di fiori con garofoli profumati » e tra le altre cose furono ancora serviti « piselletti teneri con la scorda conditi libre 6 in 3 piatti. » Tanto ci tramanda Bartolomeo Scappi, maestro nell'arte del cucinare, del quale Papa Pio V dice: « Peritissimi magistri Bartolomei Scappij qui nunc prefectus est ex nostris intimis coquis. (Dal Breve: Datum Romæ apud Petrum. Tertio Kalendis Aprilis, anno quinto).
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nostra sull'Arno, che pure battezzarono Pisa, teste Strabone. Altri lo vuole dal nome originario del legume in lingua celtica, o dal vocabolo greco, che
Plinio però anteponeva a questi, quelli d'Egitto. E diffatti gli Ebrei tolti alla schiavitù da Mosè rammentavano sospirando i cocumeri , i meloni, i Porri, le cipolle e l'aglio d'Egitto! (Num. 2). Acrone, medico agrigentino, amico di Empedocle, li faceva cuocere sotto la brage. Nerone li mangiava spesso Perchè diceva che i porri lo facevano cantar bene. Taddeo, medico fiorentino insignissimo, che li mangiava crudi col sale, dice che purgano lo stomaco e provocano l'appetito. Marziale condannava i porri tarentini pel cattivo odore che lasciavano in bocca:
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spesso Perchè diceva che i porri lo facevano cantar bene. Taddeo, medico fiorentino insignissimo, che li mangiava crudi col sale, dice che purgano lo
Il suo nome dal greco Selidon, o, secondo altri, da Petrosselene, pietra di luna, avendo i semi la forma d'una luna nascente. Vuolsi originario della Sardegna, dove cresce naturalmente, ma oggi è comune a tutti i paesi. Il prezzemolo non teme nè il caldo nè il freddo, non è niente delicato riguardo al terreno, amando però meglio quello leggero, ricco ed umido. Si semina a primavera e se ne à tutto l'anno. Avvi la varietà riccia, o prezzemolo crespo, le cui foglie sono frastagliate; la varietà grossa, o prezzemolo sedanino di Napoli, le cui radici voluminose sono buone a mangiarsi fritte ed accomodate. L'antico petroselinon è quello detto di Macedonia che alligna fra le pietre e fra le roccie (da cui il nome, quasi apium petrinum), à foglie più ampie ed è più dolce. La semente invece è più aromatica e d'un sapore che si avvicina a quello del cumino. Questo ama i terreni sabbiosi e teme il freddo. Avvi quello di palude e quello di montagna selvatico. Il prezzemolo comune somiglia molto alla cicuta che nasce spontanea negli orti, si riconosce però all'odore, perchè quest'ultima puzza tagliandola, e tramanda un odore disgustoso di sorcio. Tutta la pianta del prezzemolo à odore e sapore aromatico, rende i cibi più sani e più aggradevoli, eccita l'appetito e favorisce la digestione. Entra gradito ospite nelle minestre, nelle zuppe, pietanze, guazzetti e salse. Ercole, dopo aver ucciso il Leone Nemeo, si cinse la tempia con una corona di prezzemolo, da qui la consuetudine d'incoronare i vincitori nei giuochi nemei. I poeti pure s'incoronarono di prezzemolo, onde Virgilio: « Floribus atque apio crine ornatus amaro. » Plinio dice che non solo il prezzemolo è un cordiale per gli uomini, ma lo è anche per i pesci: « Pisces quoque, si ægrotant in piscinis, apio viridi recreantur » il che vuol dire: se ti si ammalassero i pesci nella piscina, mettivi delle erborine verdi che guariranno. Le lepri ed i conigli ne sono avidissimi, anzi il darlo loro fa bene e li fa guarire. Le galline e i papagalli ne soffrono ed anche muoiono. Ma se il prezzemolo è un aroma sano, non se deve abusare, perchè è eccitante, la sua radice è più stimolante delle foglie. Del resto i medici gli assegnano virtù diuretica, dà rimedio nelle malattie d'occhi, è febbrifugo e risolvente, vulnerario e narcotico nelle contusioni, nelle echimosi, negli ingorghi lattei. Le famose pillole galattifughe arcana preparazione della farmacia di Brera, constano principalmente di estratto di prezzemolo. Il seme del prezzemolo triturato in polvere serve di cipria per distruggere i pidocchi. Se si prende una certa quantità di prezzemolo e lo si pone nell'aqua per 48 ore e poi se ne spruzzi il suolo e le lettiere si è certi di essere liberati dalle pulci. Impropriamente da noi si chiamano erborinn quelle piccole macchie che troviamo nello stracchino di Gorgonzola, le quali sono ne più nè meno che muffa. In un'antica Cronica milanese troviamo che « Menina Briancea fu l'inventrice della salsa verde che fassi ottima a Milano nel Monistero Maggiore da quelle sante mani di Donna Anastasia Cotta. »
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che non solo il prezzemolo è un cordiale per gli uomini, ma lo è anche per i pesci: « Pisces quoque, si ægrotant in piscinis, apio viridi recreantur
Pianta erbacea, perenna, indigena, dà grandi foglie che servono d'ornamento ai giardini e fiori piccoli bianchi in primavera. Cresce naturalmente nei luoghi umidi, ma si coltiva negli orti. Vuol terra sostanziosa, compatta, fresca, ombrosa. Si propaga per le sue radici. È chiamato anche Barbaforte, dai Francesi Moutarde des capucins, senape dei Tedeschi e Rafano di Cavallo dagli Inglesi. La radice del cren è piccante assai ed acre, è gradevole ai sani. Gratucciata minutamente ed immersa nell'aceto è ottimo condimento per l'alesso, da sola può servire come la senape a condire certi manicaretti e a conciar l'insalata. I frati molto intelligenti di gastronomia e di salse, posero il cren sotto la protezione celeste e la chiamarono Salsa di S. Bernardo. In Francia se ne prepara vino, birra e una certa specie di sciroppo. I Romani lo chiamavano armoracea, nome che ancor conserva. Al dire di Plinio, i Greci lo chiamavano Pontici armon e gli Spartani Leucen. Era celebre il cren d'Arcadia. Il rafano selvatico è eminentemente anti scorbutico, diuretico, anti reumatico. Applicato esternameate è succedaneo ai viscicanti. Raschiato supplisce la senape nei pediluvi e nei senapismi. Dissecato non perde la sua virtù. Non ultima qualità del rafano è questa che raccomandasi specialmente alle signore e alle signorine: infusa la sua radice nel latte fa sparire le macchie dal volto.
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. Bernardo. In Francia se ne prepara vino, birra e una certa specie di sciroppo. I Romani lo chiamavano armoracea, nome che ancor conserva. Al dire di
Il Ramolaccio, o Armoracio, è radice annuale, indigena, originaria della China. Vuole terreno sciolto, pingue e a buona esposizione, abborre il massimo caldo. Avvene molte varietà, sì per grandezza che per forma e colore. I bianchi grossi, e i ruggini dolci d'estate si seminano da Marzo a Giugno, per averne in estate ed autunno. I rotondi, o lunghi, sia bianchi che neri forti dal Giugno a Settembre, per averli dall'autunno a primavera. Il Ravanello, è bianco o rosso, rotondo o lungo, o rosa lunghissimo di Firenze. Si può seminarlo tutto l'anno ed averne tutti i mesi. Avvi pure il Ravanello serpente (Raphanus caudatus) di Giava, ancora poco conosciuto, che à lunghissimi bacelli terminali che possono prolungarsi fino a un metro, di gusto piccante, e che, verde, si pone in aceto. Il ramolaccio e il ravanello addivengono stopposi, bucherati o tarlati e ciò dipende dalla qualità della terra, (che amano terreni forti, tenaci ed asciutti), o al lasciarli troppo nella terra dopo sviluppati, o al conservarli qualche giorno dopo colti. Il ramolaccio à gusto acre, piccante, si mangia crudo con sale, olio, pepe colla carne. È considerato un condimento pesante allo stomaco e difficile a digerirsi. Fu detto che il ramolaccio fa digerire tutto, ma egli non è digeribile: Raphanus digerit, at ipse non digeritur. Sviluppa flattulenze fetide ed acri rinvii. Sono da preferirsi i piccoli e giovani, perchè più teneri e meno acri. Erano celebri i ramolacci di Delfi ove li mangiavano anche cotti. Democrito li condannava. In Egitto dove erano saporitissimi - suavitate prcæcipui - si mangiavano aspersi di nitro. Campegio Sinforiano « uomo sapientissimo » dell'epoca delle crociate, dice che i più grossi al suo tempo erano quelli di Germania. Che i ramolacci sieno indigesti viene attestato anche da Cornelio Celso che scrive: a levibus cibis ad acres, ab acribus ad leves transire esse radicem, (raphanum) deinde vomere, lib. 3 cap. 16. Si voleva che guarisse dai calcoli urinarj. Oggi raschiato ed applicato come cataplasma attorno al collo, il popolo lo usa come risolvente nelle angine, e ne fa sciroppo che trova utile nella tosse ferina e nei catarri ostinati. I cronisti ci tramandano che il ramolaccio era la passione di Carlo Magno, passione ereditata da suo figlio Pipino. Dai nostri contadini viene chiamato : Salam de prœusa - e negli educandati - Polpett de magher.
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che guarisse dai calcoli urinarj. Oggi raschiato ed applicato come cataplasma attorno al collo, il popolo lo usa come risolvente nelle angine, e ne
Pianticella annuale gramignacea, acquatica, originaria della China e delle Indie Orientali, che dà il grano da tutti conosciuto. Il suo nome, riso dal greco Oryza, derivato anch'esso dall'arabo Eruz. Dopo il frumento è l'alimento più sano e nutritivo. Il riso nasce, vegeta e matura nell'acqua, ed ama tutta la pompa del sole: non può vivere senz'acqua e senza sole. Nel linguaggio dei fiori: Ricchezza. Si coltiva dappertutto. Il riso per esser buono, dev' essere novo, ben mondato, ben netto, grosso, bianco, che non sappia di polvere nè d'altri odori. Il riso di più difficile cottura è il più saporito. Col riso si fà pane, il quale è assai bianco e di bon gusto, ma non s'inzuppa bagnandolo. Ma l'uso principale del riso è nella cucina. Nazioni intere se ne fanno il loro pascolo quotidiano. Il Pilao dei Cinesi non è che il riso. Si cuoce da noi ogni giorno in minestra, al grasso, al magro, col burro, col latte, coll'olio. Si mescola con ogni sorta di legumi, erbaggi e carnami se ne fanno torte, pasticci, frittelli, tortelli. Universalmente lo si fà cuocere sino all'intero disfacimento, solo dai noi si mangia, come si dice al dente. Sarà forse per effetto di assuefazione, ma da noi lo si trova più saporito così. La cucina Milanese à dato al mondo col riso quel capolavoro, che si chiama Risotto, il vero monopolio del quale, per quanto si sia fatto, non si è ancor tolto dalle mani dei veri Milanesi. Alcuni asseriscono che da noi il riso venne introdotto nel secolo XVI, ma è certo che in Italia, invece era anticamente conosciuto. Plinio scrive che in Italia, «maxima est copia, (oryza) ubi ex ea phtisana fiebat,quam reliqui mortales ex hordeo conficiebant». Teofrasto, che lo chiama pure oryzon, attesta che ai suoi tempi era seme peregrino. Il Bolognese Crescenzio nel 1301 parlando del riso lo chiama tesoro delle paludi. Nel IX secolo era già coltivato in Sicilia. Nel 1481 il riso è annoverato fra i prodotti del Mantovano. Nel 1521 fra quelli di Novara e Vercelli. Da noi il migliore è il Milanese, il Novarese e quello delle Puglie. I medici gli danno virtù calmanti, astringenti, anti etiche. Gli Indiani ne cavano un liquore spiritoso che chiamano Arak, liquore che si fa anche in America sotto il medesimo nome. La paglia del riso serve a molte ingegnose manifatture. Se ne fa carta leggerissima e finissima anche per sigarette. L'acqua di riso fa diventar bianca e morbida la pelle. I Milanesi dicono che il riso nasce nell'acqua e deve morire nel vino. Il riso è la ricchezza dei nostri fittajoli: Fittavol de ris, fittavol de paradis, dice un proverbio.
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. Universalmente lo si fà cuocere sino all'intero disfacimento, solo dai noi si mangia, come si dice al dente. Sarà forse per effetto di assuefazione, ma da noi lo
Risotto Milanese. — Fate friggere in una casseruola del burro e della midolla di manzo con cipolla ben trita. Tirate la cipolla color d'oro, e mettetevi il riso, che lascerete tostare un poco rimenandolo col mestoletto, quando è tostato, gettatevi dentro un bicchiere di vino bianco e consumato il vino mettetevi lo zafferano che basti a renderlo d'un bel colore dorato e a poco a poco del brodo, lasciandolo bollire allegramente con fuoco vivo, finchè sia cotto a denso ma non troppo. Frattanto che bolle stemperatevi dentro del cervellato e del formaggio di grana rimenandolo continuamente. Tolto dal fuoco, alla sua cottura al dente, manteccatelo con poco burro fresco e lasciatelo in riposo qualche minuto sotto il coperchio della casseruola.
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vino mettetevi lo zafferano che basti a renderlo d'un bel colore dorato e a poco a poco del brodo, lasciandolo bollire allegramente con fuoco vivo
Il suo nome da ros, rugiada e marinus marina, - rugiada di mare, - nascendo spontaneo sulle rive di questo in tutta l'Europa Meridionale. Nel linguaggio dei fiori : La tua presenza mi consola. Lo Rosmarino o Ramerino è un arboscello perenne, indigeno, originario dell'Oriente. Ama essere addossato ad un muro ad esposizione di meriggio e levante, terra leggera, piuttosto sabbiosa. Teme i venti e massime il freddo. Si moltiplica per divisioni di radici, per getti ed anche per via di margote. Varietà: l'augusti folius, l'argenteus, l'auratus e il latifolius. Tutta la pianta à odore forte aromatico e balsamico. Sapore acre, amaretto. Il rosmarino si adopera in cucina a dar sapore agli arrosti, e alle carni che si mettono in infusione. In medicina è stimato come stomachevole, stimolante, emmenagogo. Se ne cava un olio essenziale, che nelle spezierie chiamasi Oleum Anthos. Dai cauli fioriti si compone l'acqua così detta della Regina d'Ungheria contro l'isterismo, ecc. In profumeria entra quale componente di varie acque odorose tra le altre della famosa Acqua di Colonia. Dai Greci veniva chiamato Libantide Coronaria, perchè serviva ad intessere corone. Oltre i soliti scrittori di cose naturali ne fà cenno Virgilio:
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linguaggio dei fiori : La tua presenza mi consola. Lo Rosmarino o Ramerino è un arboscello perenne, indigeno, originario dell'Oriente. Ama essere addossato
Allium, dal celtico all, caldo, bruciante. Bulbo conosciuto di odore e sapore acutissimo, vuoisi originario dall'Egitto e dalla Persia. Se ne contano 96 specie. Si piantano gli spicchi dell'aglio in Febbrajo e Marzo in luna piena e si raccoglie in Settembre e si conserva in luogo asciutto per l'inverno. Nel linguaggio dei fiori: Sta lontano. L'aglio è l'acciuga del povero, Galeno lo chiamava la triaca dei contadini. L'uso culinario dell'aglio è antichissimo. Gli Egizi l'avevano divinizzato colle cipolle, gli Ateniesi ne erano grandi consumatori, Anaxilao filosofo lo mangiava crudo, i Celti ne usavano come preservativo nei malefizi. Era cibo usitato presso i Romani tutti, ma i ricchi sotto l'impero, cominciavano a sdegnarlo, ed Orazio, lo abborriva come il veleno.
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'inverno. Nel linguaggio dei fiori: Sta lontano. L'aglio è l'acciuga del povero, Galeno lo chiamava la triaca dei contadini. L'uso culinario dell'aglio è
La scorzonera è una pianticella erbacea, della famiglia delle cicorie, della quale si mangiano le radici. Se ne conoscono 8 varietà. Da noi due se ne coltivano. La bianca (tropogon porrifolium), che è annuale, e si semina in primavera, per raccoglierne le radici in Ottobre ed in seguito, e vuole terreno profondo e grasso. È dolce e si fa friggere e conciare con burro come i legumi ed in insalata. L'altra la nera, o salsifino (scorzonera hispanica) è meno coltivata delle precedenti, perchè meno preferibile. È bisannuale, e produce una lunga e carnosa radice a pelle nera e carne bianca, di gusto amaro, che mangiasi pure a mo' dell'altra. Si semina egualmente, à fiori violacei in Luglio. Nel linguaggio dei fiori: rozzezza. Benchè perdurino due anni nel secondo perdono di bontà. Gli uccelli sono assai ghiotti del suo seme. La specie humilis dà fiori dei quali si cava una tintura color nero. Alla prima specie (tropogon) appartiene quella così detta barba di becco o barba di prete (tropogon pratense) in milanese barbabicch o erbabicch od anche bassabicch. Alcuni la vogliono originaria dalla Siberia, ma pare invece che sia della Spagna, come lo indica anche il suo cognome hispanica, la quale si ritiene pure la sola vera scorzonera. Il suo nome viene dal colore della sua scorza. Il medico portoghese Nicolò Monardes scrive che la scorzonera fu scoperta solo verso la metà del secolo XVI ad Urgel in Catalogna in una località detta il Monte Bianco. E racconta che quel paese era molestato ed invaso da serpi velenose, dette scorzoni, e che un moro d'Africa curava i morsicati colla sua radice. Da qui il medico portoghese inferisce che venne il suo nome di scorzonera, cioè erba atta a guarire dagli scorzoni che, a sua detta, muoiono subito se si riesce a metterla loro in bocca. Ve la dò come l'ò trovata su un libro stampato a Venezia appresso Francesco Zilletti nell'anno 1582.
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anche bassabicch. Alcuni la vogliono originaria dalla Siberia, ma pare invece che sia della Spagna, come lo indica anche il suo cognome hispanica, la
Il sedano o selino è pianticella erbacea, biennale, indigena à radice tuberosa, di sapor forte, piccante, odore aromatico, nasce naturalmente nelle paludi torbose del Po, si semina in primavera, si trapianta. Ama bona esposizione, terra grassa, copiosi inaffìamcnti. S'imbianchisce rivestendolo e rincalzandolo di terra, si difende dal freddo coprendolo collo strame. Diverse varietà, le migliori il bianco e violetto a costa ripiena, il sedano rapa (apium radice rapacea) à la radice che si gonfia e raggiunge ragguardevoli proporzioni. Il sedano è della famiglia del prezzemolo e serve tanto la foglia che la radice, a condire convesso e a dar sapore a legumi, verdure, carni, ecc. entra in molte salse. Lo si mangia crudo con pepe sale ed olio ed in insalata. Lo si frigge, massime il sedano rapa, (del quale si mangia solo la radice), lo si cuoce in stufato, se ne fà un delicatissimo purè. A Napoli lo si chiama accio (da Appio). Il sedano e massime il seme è eccitante e per alcuni indigesto. In Oriente è usato il seme contro il mal di mare. Fino dal tempo di Ippocrate, veniva usato per soffumigi contro l'emicrania: in nares cerebro bile infestato. In Grecia, teste Galeno, lo si mangiava in insalata: oleo et aceto confecto: ma da molti veniva creduto produrre epilessia e cecità. Plutarco ci ricorda era proverbio, — abbisognare di sedano quelli che sono male in gamba: qui deplorata sunt valetudine. I Romani s'incoronavano di sedano nei conviti onde preservarsi dall'ebbrezza. Oggi il sedano nei conviti si mangia per antipasto. Colla polvere del seme di sedano, meglio del selvatico, se ne fà un unguento contro i pidocchi.
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foglia che la radice, a condire convesso e a dar sapore a legumi, verdure, carni, ecc. entra in molte salse. Lo si mangia crudo con pepe sale ed olio ed
La segale è pianticella germinacea, annua indigena. È il cereale dei paesi freddi, montuosi. Si semina in Autunno e raccogliesi nell' estate vegnente. Nel linguaggio dei fiori: bisogno. Matura più presto del frumento, vuole terreno sciolto, viene anche negli sterili, negli alpestri, dove non alligna il frumento. La segale è meno nutritiva del frumento e meno atta a far del pane che riesce umidiccio e di difficile digestione. Viene nullameno usata a far pane nel Belgio, nell'Olanda, nella Germania settentrionale e specialmente in Russia dai poveri contadini. Mista però alla farina di frumento rende il pane più bianco e saporito e lo conserva fresco più a lungo. Viene pure mescolata col melgone. Messa nell'acqua la farina di segale, serve per bevanda rinfrescante e nutriente per il bestiame. La farina di segale è pure adoperata in medicina per uso esterno come mollificante e risolutivo. In Russia se ne fabbrica una specie di birra nazionale, chiamata Quass. In Groenlandia questa birra la chiamano Tollwasser (aqua che fà impazzire. La paglia lunga e forte, per la molta silice che contiene, è utilissima a coprire capanne campestri, tettoje, grondaje, ecc. Una specie di malattia che sopraviene al grano della segale, dà una grande importanza a questa, nella medicina, sia come generatrice di morbi, sia come potentissimo sussidio terapeutico ed ostetrico, ed è quella conosciuta sotto il nome di segale cornuta o chiodo segalino, in francese ergót. Il suo nome dal celtico segai che significa falce, d'onde in latino il nome generico segestes alle biade, che si falciano, mentre i legumi e le frutta si colgono. La segale non pare fosse conosciuta dai Greci, nessuno dei loro scrittori ne parla. Dei Latini il solo Plinio ne fà menzione, ma come di grano infimo e di nessun conto.
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rende il pane più bianco e saporito e lo conserva fresco più a lungo. Viene pure mescolata col melgone. Messa nell'acqua la farina di segale, serve
Il suo nome dal vocabolo greco che significa nocevole agli occhi. Vuoisi originaria dalla Tessalia. È pianta erbacea annuale, indigena, piuttosto coltivata che spontanea, fiorisce in Giugno e Luglio. Si propaga per semi in primavera ed ama terra sostanziosa. Nel linguaggio dei fiori : Dispetto. Avvene due varietà: la bianca e la nera. La prima à fiori grandi d'un giallo pallido, di sapore delicato, viene coltivata molto in Inghilterra e preferita per uso gastronomico. La nera à fiori piccoli gialli, dà seme più minuto ed à sapore più forte ed acuto, e questa è la più usitata. Polverizzato il seme della senape nera, serve a preparare coli'acqua, o col mosto, o coli'aceto, o collo zuccaro, o col brodo, o misto a droghe e sapori, le varie paste liquide dette mostarde o salse di senape in uso giornaliero per la tavola. I giovani getti della senape si mangiano in insalata. È antichissimo l'uso gastronomico della senape. Columella, de re rustica, ci conservò la ricetta di due salse che componevano i Romani. L'una quale press'a poco la facciamo noi oggi e serviva per condire le rape, 1' altra con pignoli ed amido, che raggiungeva esimia bianchezza, serviva al più nobile uso, di tornagusto per carni lessate e pesci. Galeno suggerisce di renderla dolce. E colla senape che si fabbrica la mostarda e la si rende più o men dolce coll'unirvi zuccaro, miele, o mosto d'uva. (Mostarda viene da mosto). La senape stuzzica 1'appetito, favorisce la digestione e rallegra lo spirito. 11 filosofo Kant usava masticarne i semi per rinvigorire la memoria. La senape serve in medicina a farne i così detti senapismi, e se ne cava un olio risolutivo. È eminentemente antiscorbutica. Lo storico Ray narra che all'assedio della Rocella, dove lo scorbuto aveva già colpito centinaia di soldati, la malattia si arrestò prontamente, facendo prendere a tutti come rimedio e preservativo l'infusione di senape nel vino bianco. Dietro ciò l'Ammiragliato d'Olanda, prescrisse che tutti i vascelli dovessero sempre portarne seco sufficiente provvigione. La Scuola Salernitana dice della senape:
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zuccaro, miele, o mosto d'uva. (Mostarda viene da mosto). La senape stuzzica 1'appetito, favorisce la digestione e rallegra lo spirito. 11 filosofo
Il sesamo detto anche giuggiolena è pianticella annuale. Si propaga per semi, vuol terra sciolta e pingue e viene sotto l'azione del gran caldo e dell'umido. Ve ne sono 5 varietà. L'orientale, cresce spontaneamente nei terreni secchi ed aridi dell'India, del Ceylan, del Malabar, e s'accomoda facilmente nei suoli fertili. Fornisce un fusto alto un metro, diritto, erbaceo, quasi cilindrico, assai ramoso, foglie verdi, fiori bianchi o color rosa in Giugno. I semi di esso col calore e colla pressione forniscono il 48% di olio che è così limpido e gustoso da rivaleggiare colle migliori qualità dell'olivo, per le quali viene sovente venduto, essendo 1'olio di sesamo riconoscibile solo per contenere meno sostanza. Inoltre l'olio di sesamo à il merito di non mai irrancidire. Il vantaggio dell'olivo su questa pianta è quello di poter allignare anche in luoghi erti ed asciutti ed in terreni poco profondi. Il sesamo non reggerebbe nei paesi montuosi anche per i venti. Vuolsi originario dell'Asia Minore e precisamente dalla Paflagonia, dove esisteva pure la città di Sesamon chiamata poi Amastris, della quale parla Plinio. In Bologna se ne sono fatte molte esperienze notate nel Giornale d'Italia di scienze naturali. Coi suoi semi in Egitto se ne fà una minestra saporita. In Sicilia lo si metteva nel pane. Oggi ancora si mangiano arrostiti e cotti come quelli del riso e dell'orzo, e macinati forniscono una farina grossolana, ma di cui i pasticcieri si servono assai. Era conosciuto il sesamo in Oriente sino dai tempi più remoti. Da Plinio fu messo il sesamo fra i cereali, da Columella fra i legumi, da Teofrasto fra i grani che non ànno nome. Ateneo nel libro XVI dice che i Greci lo mangiavano torrefatto col miele. Galeno che lo si metteva nel pane, ma che era di sua natura calido. In Egitto i semi del sesamo servono a preparare una pasta biancastra, che si usa per mantenere la freschezza e la bellezza della pelle.
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'Italia di scienze naturali. Coi suoi semi in Egitto se ne fà una minestra saporita. In Sicilia lo si metteva nel pane. Oggi ancora si mangiano arrostiti e
Lo spinaccio o spinace di orto è pianticella erbacea annale, indigena, originaria dell'Asia. Vuol terreno sciolto, sostanzioso, lavorato, si semina da Febbrajo a tutto Settembre per averne l'anno intero. Pongasi cura a coprirlo leggermente dal freddo e a tenerlo pulito dalle erbe selvatiche. Fra le varietà di spinacci notiamo quello d'Inghilterra a semi pungenti, a lunghe foglie, quello d'Olanda a foglie rotonde, di Fiandra, quello a foglie di lattuga larghissime, infine la recente varietà Viroflay, la quale sorpassa in prodotto tutte le altre. Il seme si conserva per 3 anni. Lo spinacelo è cibo leggiero, ma gustoso e sano. Chi lo cuoce asciutto e chi all'aqua, migliore il primo metodo. Si mangia in minestra, triffolato, si frigge, si marina. Se ne fà torte e puree, si marita alla frittata, e colle lumache. Gli spinacci sono leggermente lassativi e non convengono a tutti gli stomaci. Fu portato lo spinacelo dagli Arabi in Spagna e dalla Spagna in Italia, e dapprima erano detti spagnacci d'onde la corruzione spinacci. Serapione invece assevera che in lingua araba sono detti spanacli. Altri invece vogliono il suo nome da spina, perchè la sua semente è a punta spinosa. Opinano alcuni scrittori che lo spinaccio non fosse conosciuto dagli antichi, ma pare che fossero da questi indicati sotto il nome di atriplex e blitum. Greci e Latini convengono che Yatriplex e il blitum erano : olus iners ac sine sapore et acrimonia itila, unde convivium faciunt fwminis, sed nullius in medicina momenti. Pittagora anzi lo accusa facere hydropicos morbosque regiose ecc. I nostri medici del medio evo ordinavano il decotto di spinacci a quelli che tossivano la mattina. Onde i Milanesi anno conservato il proverbio: vess battezza con l'aqua de spinazz.
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Lo spinaccio o spinace di orto è pianticella erbacea annale, indigena, originaria dell'Asia. Vuol terreno sciolto, sostanzioso, lavorato, si semina
I gladiatori per rinvigorirsi se ne ungevano le membra col sugo. Nel 1368 Alfonso di Castiglia aveva istituito un Ordine cavalleresco, i cui membri, si obbligavano a non mangiarne o a star lontani dalla Corte per un mese in caso di infrazione alla regola. Ora quell'Ordine non esiste più, ma è del bon ton il disprezzarlo, e a darsi poi per non intesi ogni volta che il cuoco lo adopera mascherato per regola d'etichetta. Checchè però se ne dica dagli schifiltosi, un po' d'aglio è necessario e dà sapore a molte salse e conce, ai brodi, alle carni, al salame, ecc., ed è sano. Esso aumenta l'appetito e facilita la digestione. Forse per le sue proprietà toniche ad alcuni serve come di febbrifugo. È anti epidemico. Il suo sugo, o il latte bollito col bulbo è vermifugo. Raspail lo suggerisce contro il colera. Entra nella composizione dell'aceto dei quattro ladri. A togliere all'alito il suo odore vuolsi che giovi il masticar prezzemolo, fave fresche, foglie di ruta similmente fresche e la bieta cotta sotto la cenere. Un bulbo d'aglio schiacciato applicato ai calli, dopo un pediluvio prolungato, li leva facilmente.
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bon ton il disprezzarlo, e a darsi poi per non intesi ogni volta che il cuoco lo adopera mascherato per regola d'etichetta. Checchè però se ne dica
Piccolo arbusto perenne, indigeno, originario della Palestina. In linguaggio dei fiori significa : attività. Ve ne sono ben 20 varietà. Si propaga per semi in primavera e meglio per divisione di radici. Lo si semina per bordure nei giardini, ama buona esposizione, terreno magro ed asciutto. Il timo, detto anche Pepolino, Sermolino, Piperella, [Serpyllum] dà piccoli fiori porporini e rosei nella state. Cresce naturalmente nei pascoli, nelle siepi e prati montuosi, à grato profumo, che si marita assai bene a quello delle rose. Il suo nome da Thymiama, profumo, citato in molti luoghi anche dalla Bibbia. Presso i Greci era l'emblema della forza e del coraggio, teste Dioscoride. Si adopera in cucina per dare aroma alle carni, agli intingoli, ai legumi. E antispasmodico, leggermente riscaldante ed eccitante. Serve nella distilleria per liquori ed aque da toilette. Contiene molta copia di olio etereo giallo, dal quale si estrasse recentemente un acido detto acido timico, che è preferibile per disinfezioni al fenico, conservando nel suo stato di acido l'aroma della pianta. Il timo è amato dalle capre e dalle api, lo dice Virgilio nell'Egloga 3.*: Dum thymo pascuntur apes, dum rore ricada ?. E Orazio al lib. 4, Carm. Od. 2 :
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per semi in primavera e meglio per divisione di radici. Lo si semina per bordure nei giardini, ama buona esposizione, terreno magro ed asciutto. Il timo
A' tempi di Svetonio, il bulbo dello zafferano durava 8 anni. Nell'Avignonese oggi limitasi a due soli, nella Sicilia a tre, ad Aquila a quattro. Il bulbo è amato dai topi, gli steli dalle lepri. Quantunque originario dei paesi del mezzodì, è coltivato oramai in quasi tutta Europa, perfino in Inghilterra. In Italia tale cultura è antica specialmente in Sicilia e nel Napoletano, e propriamente nella provincia di Aquila, che per aroma e qualità tintoria dà lo zafferano migliore del mondo. Il suo prezzo medio è di L. 150 al chilogrammo. Lo zafferano si usa dai tintori, dai caffettieri, dai pasticcieri, dai profumieri, dai pittori, pizzicagnoli, maniscalchi e cuochi. Per la cucina si dovrebbe provvederlo in fili e non in polvere, onde evitarne la falsificazione. La frode più innocente è quella di esporlo per qualche tempo in luogo umido, affinchè cresca di peso. Lo si falsifica benissimo coi fiori dello Zaffranone, o falso zafferano (carthamus tintorius) che dà un colore scarlatto, con l'Oricella (rocella tinctoria) che dà pure un color porpora, col Sommaco (rhus coriaria) ecc. I vapori che sparge lo zafferano nei luoghi chiusi, ove non si possano con facilità dissipare; sono all'uomo malsani e talvolta micidiali, perchè à virtù eminentemente narcotica, ed in medicina passa come rimedio stimolante analogo all'oppio. La scoperta dello zafferano si perde nella nebbia dei tempi. La mitologia vuole che abbia avuto origine da un giovinetto chiamato Croco che innamoratosi perdutamente di una ninfa, chiamata Smilace, nè piacendo a Barba Giove tale matrimonio, fu da lui cambiato nella pianta dello zafferano, da qui il suo nome di Crocus. Et in parvos versum cum Smilace flores, et Crocon . (Ovidio, 4, Mctam.). Dioscoride lo raccomanda come apposto. Sappi che le zucche più vuote di questo mondo, possono elevarsi alla più alta aristocrazia culinaria. Tu potresti apprestare a'tuoi amici, un abbondante, gustoso e variato pranzo, quasi colla sola zucca, vale a dire che essa formi d'ogni piatto, se non l'unico, almeno il principale coefficiente. Sono note le minestre di zucca d'ogni specie e fresche e secche. La si fa cuocere nel brodo, nell'aqua e burro, ovvero nel latte. Se ne rileva il sapore con erbuccie, ova, spezie e collo zuccaro. La polpa delle zucche ed anche i fiori si mangiano fritte, ripiene, accomodate, triffolate, in fricassèe, in stufato, ed in polpette. Se ne fanno torte, pasticci, e perfino salami. Colle piccole zucchette lessate o cotte alla brage, o colle tenere cime delle piante bollite nell'aqua si fa dell' insalata che si condisce coll'olio degli stessi semi della zucca. Il sugo di essa fermentato può fornire l'aceto. Colla zucca confettata con miele ed aromi, si provvede il dessert di saporite mostarde e confetture, che si rende ancor più vago abbellendole con piccole zucchettine imitanti le pera, le poma, gli aranci. Il pane si forma colla zucca ben cotta, impastata colla terza parte di farina. Finalmente coi semi di zucca, puoi comporre orzate e simili gustose bevande. Che se questo simposio, vuoi prepararlo a'tuoi amici all'aria aperta, lo potrai gentilmente offrire sotto un pergolato coperto colle foglie di una pianta di zucca. Che ne dirò poi delle zucche vuote? Colla scorza di esse puoi farne bottiglie, bicchieri, piatti, cucchiaj, forcine, coltelli, mestole, saliere, lucerne ove arda l'olio del seme suo, recipienti d'aqua, di vino, di liquori, tabacchiere, pipe e quello che vuoi. Le zucche vuote poi servono mirabilmente a sorreggere i mal pratici o novizi nuotatori. A questo proposito, vo' narrarti un aneddoto di Bellavitis e faccio punto. Bellavitis, mio illustre e celebre collega dell'Università di Padova, ora defunto, veniva un giorno supplicato da uno studente, perchè gli fosse propizio nell'esame: « Veda, professore, insisteva lo studente, se io non passo questo benedetto esame, ò l'inferno in casa mia! Sarei costretto a buttarmi in Brenta. » — A l che Bellavitis: « Oh no xe pericolo per hi, perchè el sa che le zucche i galleggia! » Insomma, io non mi perito a chiamare la zucca la più utile delle verdure ed è ingiusto adoperare il suo nome per insultare alle teste umane. Rispelta dunque le zucche e cava loro tanto di cappello, come lo cavi a tante nullità coperte coi galloni di prefetto, di senatore, di generale! Un bacio e vale. »
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tintoria dà lo zafferano migliore del mondo. Il suo prezzo medio è di L. 150 al chilogrammo. Lo zafferano si usa dai tintori, dai caffettieri, dai